la frustrazione è un mal comune senza mezzo gaudio alcuno, essa diviene il motore del desiderio, della produzione di desiderio della macchina umana, una macchina desiderante appunto. colui che non si sente abbastanza uomo, sarà spinto dal desiderio di mettere di continuo alla prova la compagna per capire quanto questa a sua volta lo desideri. colei che non si sente accettata desidererà essere impeccabile, perfetta, vestita secondo i canoni del gusto della nicchia alla quale partecipa. oppure, il che non ne altera il concetto, originale ad ogni costo. riguardo ai collezionisti d’arte, galleristi e quant’altro un tempo s’opinò circa la volontà di quest’ultimi di toccare l’arte per mezzo della loro perversione proveniente da millenni di inibizioni psicosomatizzate. una sparata infarcita di freudismo, lacanesimo, deborderie e quant’altro eppure, se anche in parte questo è vero, lo è a partire dalla questione che ogni volontà di possesso è la volontà d’un pervertito, e che ogni desiderio siffatto non ha origine da una mancanza come voleva il buon platone, quanto piuttosto da una frustrazione. sul legame tra frustrazione e inibizione, non saranno spese parole. viene in mente giusto il caso della letteratura sotto l’occupazione, che d’altro non riesce a parlare se non della congerie di desideri legati alla frustrazione dell’essere occupati, inibiti alla condizione di un sé dipendente da altro. posto questo, allargando il campo, non è lecito dire che come la sparata sui galleristi è un caso specifico d’una legge generale, ovvero che ogni volontà di possesso sia la volontà d’un pervertito, anche della letteratura sotto l’occupazione si possa dire lo stesso, dunque d’essere un caso specifico all’interno d’una legge generale in virtù della quale la cara letteratura sia ora e sempre in una condizione di subita occupazione. uno scrivere contro l’occupante, il desiderio d’una creatura schiava della propria frustrazione, per dirla col praga del preludio, canto una misera canzone, ma canto il vero.